Sognare a occhi aperti è la chiave per uscire dall’ordinario, dalla routine, dal sentiero precostituito. La meraviglia entra in noi e riscrive le regole: gli ostacoli diventano piccoli, le distanze si accorciano, le mete si avvicinano. Non si tratta, come si suol dire, di “gettare il cuore oltre l’ostacolo” bensì di lasciarsi trasportare dalla percezione di ciò che ci aspetta di là, pur non vedendolo. A volte di la c’è una meta, a volte si dipanano mille strade nuove, che non si vedevano prima e che portano in mille luoghi diversi. Ho visto sognatori immersi in un sogno, sognatori attraversare un sogno, sognatori concedersi al prezioso attimo della meraviglia, esplosione primordiale dal quale scaturisce ogni sogno o in cui ogni sogno si rinfranca.

Sono nato a Scandiano, vicino a Reggio Emilia, il 07/02/1974.
Ho vissuto a Casalgrande fino all’età di 11 anni, poi per il lavoro dei miei genitori, casari di Parmigiano Reggiano, tra gli 11 e i 20 anni ho abitato prima in collina e poi in montagna. A 20 anni mi sono trasferito a Bibbiano dove vivo tuttora. A 27 anni, quasi per caso, l’inizio della storia d’amore con l’appennino Reggiano: nello specifico il colpo di fulmine scoccò salendo sul monte Casarola, il monte sul quale fin da piccolo sarei voluto andare quando mamma e papà ci andavano “a funghi” e io non potevo andare con loro perché era “un posto per grandi”. Da quel giorno ho passeggiato per anni su e giù per il crinale, fino a che mi sono reso conto che tutta quella bellezza, tutta quella meraviglia, tutto quello splendore andavano condivisi per essere vissuti pienamente e la macchina fotografica mi è sembrato il mezzo più adatto per farlo. Da li il mio interesse per la fotografia, che mi ha portato ad esplorarne, a piccoli passi, diversi ambiti, con la bussola sempre puntata verso quello che mi piace, verso quello che mi stupisce e mi meraviglia. Tornando ai vari posti in cui ho vissuto: in un’epoca senza social, senza internet e senza cellulari, questo mio peregrinare continuo ha da una parte acuito il legame con la mia terra, i miei monti e la “piccola città” che ha fatto da culla alla mia infanzia e dall’altro ha fatto si che certi legami si cristallizzassero all’età in cui si sono interrotti, per poi essere ripresi, riscoperti e rivissuti dopo i 40 anni. La mia sensibilità, anche fotografica, passa per questi crocevia: le persone che ho portato dentro tanti anni e i posti che mi sono mancati. Questo non impedisce che ogni persona che incontro e ogni luogo che scopro, mi cambino un po’ e spesso mi emozionino.

Per me la fotografia è il regno del fanciullo interiore: un luogo in cui le regole non esistono ma se esistessero cambierebbero a secondo delle inclinazioni del momento, un luogo in cui manifestare lo stupore e la meraviglia non deve confrontarsi con nessun tipo di prudenza e in cui non c’è un vero fine perché tutto è funzionale all’appagamento della curiosità e, in ultima analisi, alla gioia della scoperta. E’ un po’ come quando da bambino disegnavo, coloravo e ritagliavo basi spaziali e robot e poi ci giocavo inventando storie: tutto era nel presente e, seppur alla fine i buoni vincessero sempre, non lo sapevo mai prima. Penso che in ogni foto che scatto ci sia un po’ di me e penso anche che quel “po’ di me” si consumi in ogni scatto, trasformandomi.

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